Testo di Enrico Nardi
2017: da sei anni la Siria è sotto il fuoco di una guerra devastante, che coinvolge l’intero scacchiere geopolitico mondiale e gli equilibri interni del Medioriente. Il governo di Assad, Stati Uniti, Russia, Iran, ISIS sono solo alcuni degli attori presenti in un conflitto che ha causato più di 350 mila morti (di cui poco meno di un terzo civili) e ha provocato la fuga di più di cinque milioni di persone.
Come spesso accade, i paesi limitrofi sono quelli che accolgono più emigrati. Questo conflitto non fa eccezione: Turchia, Libano e Giordania hanno accolto più del 90% dei profughi dal 2011 ad oggi. In Libano ci sono 200 rifugiati ogni mille abitanti; in Giordania il rapporto è di 100 a mille; l’Italia, per fare un paragone, accoglie un numero di migranti che è il 2,4 per mille del numero degli abitanti.
La Giordania, che confina a sud con la Siria, è per tradizione un paese ospitale. Dal secondo dopoguerra questo piccolo regno ha dato rifugio a profughi palestinesi, egiziani, iracheni; adesso anche ai siriani.
Mafraq dista poco più di 15 chilometri dal confine siriano, le guide turistiche la definiscono una “polverosa e congestionata città di frontiera”. A tredici chilometri sorge l’immenso campo profughi di Zaatari, aperto nel 2011 e diventato una città di ottantamila abitanti. Dal campo sono passate nel tempo tante famiglie, tante persone che hanno trovato poi una migliore sistemazione a Mafraq.
Prima che lo Stato giordano, insieme dalle associazioni umanitarie, attivasse la sua rete di aiuti, i profughi sono stati supportati dai vicini di casa, che davano loro da mangiare, oppure medicine, oppure pannolini per i neonati.
Il progetto nasce con l’obiettivo di raccontare le storie di fuga e di accoglienza di alcune di queste famiglie. Le loro testimonianze ci regalano un punto di vista reale di cosa sia stata la Primavera Araba, la guerra, le contraddizioni che un conflitto di tali dimensioni si porta sempre dietro. E di cosa sia l’accoglienza in un paese, la Giordania, che ha visto arrivare dal 2011 670 mila emigrati siriani; un paese dove, però, la lingua, la cultura e la religione sono patrimoni comuni a entrambe le popolazioni.
Yahia, Fatima, Ahmed, Ibrahim, Sali e Hassna ci hanno aperto le loro abitazioni per condividere l’esperienza dell’esilio e delle nuove vite che si sono dovuti costruire.
Tra Mafraq e la loro vera casa ci sono pochi chilometri, ma nel mezzo si alza un confine invalicabile. Quale sarà il loro futuro? E con quali occhi, con quali speranze lo stanno aspettando?
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2017: for six years Syria has been under the fire of a devastating war, which involves the entire world geopolitical chessboard and the internal equilibrium of the Middle East. The government of Assad, United States, Russia, Iran, ISIS are just some of the actors present in a conflict that has caused more than 350 thousand deaths (of which just under one third civilians) and has caused the escape of more than five million of people.
As often happens, the neighboring countries are those that receive more emigrants. This conflict is no exception: Turkey, Lebanon and Jordan have welcomed more than 90% of refugees from 2011 to today. In Lebanon there are 200 refugees per thousand inhabitants; in Jordan the ratio is 100 to one thousand; Italy, to make a comparison, welcomes a number of migrants that is 2.4 per thousand of the number of inhabitants.
Jordan, which borders south with Syria, is traditionally a hospitable country. Since the Second World War, this small kingdom has given refuge to Palestinian, Egyptian and Iraqi refugees; now also to the Syrians.
Mafraq is just over 15 kilometers from the Syrian border, the tourist guides call it a “dusty and congested border town”. At thirteen kilometers, the immense refugee camp of Zaatari, opened in 2011 and became a city of eighty thousand inhabitants. Many families, many people who have found a better accommodation in Mafraq have passed through the camp.
Before the Jordanian state, together with humanitarian associations, activated its network of aid, the refugees were supported by neighbors, who gave them food, or medicines, or diapers for newborns.
The project was born with the aim of telling the stories of escape and reception of some of these families. Their testimonies give us a real point of view of what was the Arab Spring, the war, the contradictions that a conflict of such dimensions always carries with it. And what is the reception in a country, Jordan, which saw from 2011 670 thousand Syrian emigrants arrive; a country where, however, language, culture and religion are common patrimony to both populations.
Yahia, Fatima, Ahmed, Ibrahim, Sali and Hassna opened their homes to share the experience of exile and the new lives that had to be built.
There are only a few kilometers between Mafraq and their true home, but an impassable border rises in the middle. What will their future be? And with what eyes, with what hopes are they waiting for him?
All Images © 2017 Simone Margelli